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đź—“#calendariopoetico #14agosto
Sibilla Aleramo nasce nel 1876 ad Alessandria, si trasferisce bambina a Milano dove compie la sua formazione.
Vive in giovane età nell’assenza della madre affetta da un’infermità mentale e vicinissima al padre che resterà il suo modello di riferimento.
In seguito dovrĂ  farsi carico della gestione della casa e lavorare molto presto.
Costretta a un matrimonio riparatore in età giovanissima, con un uomo che osteggerà la sua passione per il femminismo, tenta il suicidio, e a causa delle pressioni del marito di lasciare la direzione dell’Italia Femminile a Milano dove già scriveva su Vita Internazionale e Vita Moderna, firmandosi Favilla, decide di abbandonare marito e figlio.
A Roma, dove si trasferisce, incontra Giovanni Cena, romanziere e poeta e sarà lui a scegliere per lei lo pseudonimo di Sibilla Aleramo, rifacendosi alla “Terra di Aleramo” evocata dal Carducci in “Piemonte”.
L’influenza positiva del nuovo compagno la incoraggia nella produzione letteraria e nel 1906 pubblica la sua opera più importante “Una Donna”, che segna una svolta nel dibattito italiano sulla questione femminile.
Da qui in avanti la sua vita si contornerà di amori vari fino al rapporto turbolento con Dino Campana, autore del celeberrimo “I canti orfici” che prima di essere internato si esprime sull’amante con parole indecenti e che la stessa Sibilla racconterà ne “Il passaggio” in una autobiografia romanzata da cui ne sarà tratto il film “Un viaggio chiamato amore”.
Con il fascismo la vita di Sibilla, per le sue posizioni socialiste, si complica. SarĂ  arrestata e, seppur rilasciata, dovrĂ  interrompere la sua carriera giornalistica.
Vari amori contorneranno la sua vita: Goffredo Parise e altri, ma sarĂ  al giovane Matacotta che resterĂ  fedele fino alla fine che avverrĂ  il 13 gennaio 1960.
Sibilla Aleramo attraverso la propria attività letteraria e giornalistica si libera pubblicamente delle sue vesti di moglie e di madre, come nessuno aveva mai fatto prima, proponendo, un dibattito serio e acceso sulla condizione femminile. Il suo romanzo “Una Donna” resta la prova più significativa di un’esistenza vissuta nel rifiuto del ruolo tradizionale della donna.

Da Imminente Sera (1926/1942)

Era quel prato il mondo.
Il prato fiorito di ranuncoli d’oro
pareva in cammino nel vento,
e come due bimbi in una favola
noi immobili condurre
verso i monti e le morbide nuvole.

Niuna voce intorno, niuna presenza,
lontano il mondo,
ma era quel prato il mondo,
così disteso oro su ondanti esili steli,
oh ricchezza senza peso e libera,

oh in noi fondo appagamento,
oh vaghissima pace nel ricordo in eterno vera,

vera favolosamente e d’oro.

Silvana Puschietta

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